lunedì 11 luglio 2011

Giorno Nono

Le Argonautiche
 di Apollonio Bodyo

Orsù, stammi vicino, telefonino, e cantami come
Giasone portò il Vello a Iolco da quelle terre lontane
grazie all'amore di Medea.

Appena era l’alba quando, arrivati nella Colchide, 
Giasone radunò gli eroi:
“Amici miei, voglio dirvi ciò che mi pare opportuno,
a voi spetterà di far sì che venga compiuto.
Comune è la giornata
e comune a tutti il cambio delle vesti.
Quindi voi altri restate tranquilli;
con le mamme, presso la nave,
io andrò alla reggia di Eeta,
m'incontrerò col sovrano
e proverò se posso convincerlo
con le parole a darci il Vello d'Oro,
o se invece, fidando nella sua forza,
ci metterà davanti a una sfida."
E mentre aspettavano, Era, sollecita verso di loro,
sparse per la Valle un nugulo di segnalatori arancione fluo vestiti,
così da mostrare la retta via
alla folla dei Colchi in cammino verso il campo.
I genitori, usciti dalle auto, videro i propri figli
e con grande gioia levarono in alto le mani;
essi li abbracciarono e salutarono a loro volta,
felici, piangendo.
I Colchi dissero loro queste parole:
"Dunque non era destino che vagaste lontano,
lasciandoci nell'abbandono: attraverso il blog vi
abbiamo seguiti come se non foste mai partiti.
Ma ahimè infelice, quale voglia vi ha preso dal calduccio di casa,
per qualche fantastica follia scout, e seguendo il comando di Giasone
 vi siete avventurati in queste umide e piovose terre.”
"Straniero, perché parlare di tutto ciò?
Se veramente siete figli di dei,
o in ogni caso non mi siete inferiori,
voi che venite per prendere le cose d'altri,
io ti darò il Vello da portar via, se lo desideri,
ma solo dopo una prova.”
Questo decise il re Eeta.
Quel pomeriggio gli Argonauti
diedero inizio all’impresa.
Aggiocarono Tita e Ste,
i due tori dai piedi di bronzo
che dalla bocca spirano fuoco
e li condussero attraverso il campo,
arandolo rapidamente.
Ottennero come semente per i solchi
i denti di un drago
che una volta cresciuti
presero la forma di giganti armati.
Ormai per tutto il campo fiorivano i figli del suolo;
e allora Giasone afferrò dalla pianura una grande pietra rotonda
che neppure il Panzer
l'avrebbe mai sollevata dal suolo,
la gettò in mezzo ai giganti e questi balzarono
come cani attorano alla pietra, uccidendosi gli uni con gli altri.
Ma tutto ciò non prima
di aver reso Medea la strega favorevole all'impresa,
adorandola come una dea.
Durante la notte Medea
ordinò di condurre presto la nave al bosco sacro,
per poter prendere il Vello,
ingannando il volere di Eeta.
Ma già con gli occhi insonni li aveva visti il dragone
al loro arrivo, e tendeva verso di loro il collo lunghissimo;
soffiava terribilmente, e risuonava
la riva del fiume e la sconfinata foresta.
E mentre lui si addormentava per mano della strega,
ecco che gli eroi furono davanti ai suoi occhi
e lo ridussero in una serie di parti.
Obbedendo a Medea, i Guerrieri (vincitori)
staccarono dalla quercia il Vello d'Oro.
L'aurora si spandeva sul mondo,
quando arrivarono presso i compagni.
Stupirono i giovani nel vedere il grande Vello splendente,
simile al lampo di Zeus.